di Bruno Benelli
sabato 14 aprile 2012, 12:39Contributi per 15 anni? Pochi per la pensione
Insufficienti tre lustri per ottenere l'assegno di "vecchiaia"
Era una precisa norma di legge. Ora è diventato un sogno e nulla più. Ci riferiamo al decreto legislativo 503 del 1992 che aveva mantenuto il diritto di avere la pensione di vecchiaia con 15 anni di contributi mentre provvedeva ad aumentare il minimo a 20 anni attraverso un percorso graduale ormai da tempo portato a compimento. Perciò, tutti in pensione con almeno 20 anni di contributi meno quelli che avevano già toccato quota 15. Questa eccezione è stata interpretata nel pubblico impiego in senso ancora più estensivo, permettendo la pensione con soli 15 anni di versamenti anche a chi aveva un solo contributo versato entro l’anno 1992. In sostanza la persona assunta il 1° dicembre 1992 mantiene il diritto ai 15 anni per tutta la vita.
Cambiate le regole da gennaio 2012
Tutto ciò ha resistito per ben vent’anni ma nulla ha potuto contro la “macchina di guerra” messa in moto dal duo Monti-Fornero. Dal 1° gennaio 2012 si volta pagina: i 15 anni non esistono più, ne servono 20. C’è stata una norma scritta di abrogazione esplicita in tal senso nella legge 214/2011? No, ci sono stati solo due tratti di penna: uno dell’Inps (circolare 35/2012), uno del Dipartimento della funzione pubblica (circolare 23/2012) che nel fissare il requisito minimo per la pensione di vecchiaia hanno affermato l’esclusività del ventennio contributivo. Risultato? I lavoratori – in questo caso in primo piano ci sono le donne, colf, commesse, operaie, ecc. – che soprattutto per ragioni familiari hanno dovuto abbandonare presto il lavoro per dedicarsi alla cura della casa e della famiglia, e che hanno raggranellato 8, 10, 12 anni di anzianità contributiva, erano certi di dover coprire il vuoto fino a 15 anni per poter avere la pensione, sia pure minima. Non era una supposizione, né un pio desiderio: era una legge.
Ciechi e invalidi
Lo strano di tutta questa faccenda è che la circolare Inps, nel momento in cui “affossa” i 15 anni, salva le normative speciali riferite ai lavoratori non vedenti e agli invalidi all’80%. I ciechi continuano anche quest’anno a ottenere la pensione di vecchiaia: 1) a 50 anni di età se donne e 55 se uomini, nella condizione di non vedenti da prima di iniziare a versare i contributi o perlomeno con 10 anni di assicurazione e contribuzione dopo la cecità; 2) a 55 anni se donne e 60 se uomini negli altri casi. Hanno perciò mantenuto le prerogative di un pensionamento anticipato per un periodo da 5 a 12 anni. Possono continuare ad andare in pensione con 55 anni di età se donne e 60 se uomini anche gli invalidi con una riduzione della capacità di lavoro di almeno i quattro quinti (80%).
Versamenti volontari
C’è anche un interrogativo in cerca di risposta. Il decreto legislativo 503 ha salvato i 15 anni anche in favore dei lavoratori che hanno chiesto di versare i contributi volontari entro il 1992. E questa salvaguardia è valida anche se di fatto non hanno ancora versato contributi volontari. Ci chiediamo: poiché questa guarentigia è finalizzata al raggiungimento dei 15 anni, togliendo il quindicennio cade anche questa ulteriore possibilità? Se la risposta è affermativa le disposizioni interne dell’Inps (ricordiamo che le circolari non hanno forza di legge) hanno abolito dall’oggi al domani non una ma due agevolazioni, che, ripetiamo, avrebbero dovuto, secondo il nostro parere, essere state annullate da una norma dello stesso rango del decreto 503 e perciò da una legge.