Con l'arrivo del Covid-19 Nonna Peppina è stata auto-isolata, nel senso che parenti, amici e nipoti, per evitare qualsiasi fonte di un eventuale contagio, hanno rinunciato a vederla. Ma si sentono spesso al telefono. «
Nonna è stata una grande scoperta - dice Caterina - da quando è scoppiata l'emergenza Coronavirus mi chiama tutti i giorni e vuole sapere come sto, se non mi trova continua a richiamare e fin quando non riesce a parlarmi non molla, mi dice sempre: stai attenta Caterina, nonna ti vuole molto bene. Poi le scappa un “non ci rivedremo più” e allora io le dico: nonna ma cosa dici, ci rivedremo e dovrai conoscere anche i pronipoti».
Di nonna Peppina, Caterina ha preso la determinazione a portare fino in fondo le cose. «Non ho la scorza dura di nonna, ma se mi prefiggo un obiettivo ce la metto tutta per centrarlo», dice. Alla nonna ha voluto mandare un video messaggio per non farla preoccupare: «
Nonna sto bene, prepara le tagliatelle, ci rivedremo presto»
La famiglia Turchetti-Borghetti è speciale. Nonna Peppina ne rappresenta l'emblema: tenace, seria, laboriosa. Caterina incarna il lato più dolce, ma la forza, la serietà sono le stesse della nonna. Lavora tutto il giorno a contatto con i pazienti affetti da Coronavirus all'ospedale di Pesaro. In corsia tanti anziani soli e ammalati non solo di Covid-19, qualcuno però è giovane, ha 40 anni, la stessa disperazione stampata negli occhi e la stessa domanda impressa: come l'ho preso? «
I pazienti, specie le persone anziane, hanno necessità di un contatto umano - dice Caterina - quando stringo una mano a un anziano, lui te la stringe più forte, senti che ne ha bisogno. Poi li accarezzo, sorridono, penso a nonna anche se lei lassù, a Fiastra, sta bene, è isolata e non mi preoccupa più di tanto. Invece mamma Gabriella, che è farmacista, è più esposta, poi penso a papà Maurizio, a mio fratello Alberto che è infettivologo al
Gemelli e al mio fidanzato che è vigile del fuoco». Un'intera famiglia in prima linea.
Caterina è infermiera da 2013 e
ha lavorato anche nella casa di reclusione di Spoleto, forse l'esperienza professionale più importante, faceva parte dell'
osservatorio psichiatrico e in Umbria ci ha lasciato un pezzettino di cuore in mezzo ai «miei ragazzi», come li chiama. Poi ha vinto il concorso e 11 mesi fa ha iniziato a lavorare a Pesaro, reparto Medicina oggi, di fatto, riconvertito in sub intensivo per pazienti Covid-19. «Nel periodo del ricovero, per questi pazienti che non possono ricevere visite
noi diventiamo un po' come la loro famiglia, hanno bisogno di parlare,
la camera diventa la loro casa momentanea» dice Caterina. Tra paziente e infermiere si allaccia un rapporto indefinibile fatto di sguardi, sorrisi, piccole carezze. Qualcosa di indimenticabile per entrambi.
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