di Marco Conti
domenica 15 dicembre 2019, 01:50«Tavolo di salvezza nazionale», mossa di Salvini per il dialogo
«Se anche dovessimo avere il voto e vincere, saremmo costretti a governare sulle macerie». A Giancarlo Giorgetti, ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio del “Conte1”, tremano da tempo i polsi all’eventualità di tornare al governo. Non che non se la auspichi, ma l’esperienza ancora fresca a palazzo Chigi lo induce alla cautela, anche perchè Salvini a Bruxelles e nelle principali cancellerie è visto come fumo negli occhi per l’alleanza con la destra neonazista tedesca di Afd e il “Rassemblement National” della francese Marine Le Pen.
IL CAVALLO
La prudenza di Giorgetti è dettata anche dall’esperienza maturata nei governi di coalizione. Ultimo quello con il M5S, e precedentemente in versione centrodestra. Risale a metà novembre la proposta dell’ex sottosegretario - «a titolo personale» - di una sorta di Costituente. Un «tavolo per le riforme» che però il leader della Lega di fatto sconfessò attaccandoci quel «poi subito al voto» che terrorizza anche i parlamentari più volenterosi. Trascorso poco più di un mese stavolta è lo stesso Salvini a mostrarsi disponibile proponendo «un comitato di salvezza nazionale direttamente al «signor Conte». «Sediamoci ragioniamo di cosa serva all’Italia, scriviamo le regole di base e torniamo a votare».
La scelta dell’interlocutore - l’odiato Conte che ad agosto gli rovesciò in Senato una valanga di accuse e ieri l’altro lo ha indicato come una sorta di cavallo perdente sul quale non scommettere - è significativa. Il rapporto con Di Maio, che non si era rotto al momento della caduta del governo “gialloverde”, ha subito un duro colpo a seguito del passaggio di parlamentari 5S nella Lega. Emerge anche che con il Pd e Italia Viva, al di là dei presunti consigli di Denis Verdini e di qualche suggestione, Salvini non ha costruito un rapporto tale da poter disarticolare la maggioranza scambiando legge elettorale con le urne a primavera. Le carte che rimangono al leader della Lega, per tentare la spallata e non rimanere isolato, sono il referendum pro-maggioritario di Roberto Calderoli e le difficoltà della maggioranza a presentare entro il 31 dicembre una proposta unitaria di modifica della legge elettorale. Mostrarsi disponibile a sedersi intorno ad un tavolo per discutere di sistemi elettorali e riforme, potrebbe - secondo i più informati - spingere la Corte Costituzionale ad ammettere il referendum proprio partendo dai toni moderati mostrati ieri a Milano da Salvini. Qualora il referendum dovesse passare il vaglio della Consulta sarebbe infatti più complicato metter mano alla legge elettorale e, soprattutto, muoversi verso sisteni proporzionali.
I RESPONSABILI
Un invito al dialogo, quello dei due maggiori esponenti della Lega che, pur non coincidendo nella prospettiva temporale e negli obiettivi, rivela crescenti difficoltà. Il timore che il consenso possa svanire, o ridimensionarsi nei tempi lunghi, è comune. La campagna acquisti, oltre a non piacere molto all’elettorato leghista, non è in grado di destabilizzare più di tanto la maggioranza. Senza contare che dentro FI, esclusi i trenta parlamentari che si ritengono garantiti dalla Lega, l’atmosfera è incandescente e in tanti sono pronti a trasformarsi in novelli responsabili. «L’idea di Salvini, se non è tattica, è importante». Si chiede l’azzurro Osvaldo Napoli. Una domanda destinata ad avere una prima risposta dal risultato in Emilia Romagna dove i sondaggi danno, seppur di poco, ancora avanti il presidente uscente.
A turbare i sonni di Salvini ci sono anche le Sardine e il successo che ottengono le piazze anche al Nord dove non basta più parlare di migranti per nascondere i problemi di aziende e partite iva.