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per curare familiari disabili
  • di Bruno Benelli
  • Lunedì 28 Novembre 2016, 08:47

I permessi giornalieri per curare familiari disabili

L'assistenza deve essere effettiva, licenziamento per chi abusa della legge 104 


L’applicazione della legge 104/92 che riconosce i permessi giornalieri per assistere e curare familiari disabili (coniuge, parenti o affini entro il secondo grado, e, in alcune evenienze, anche di terzo grado) comporta un “disagio” e un “sacrificio organizzativo” per il datore di lavoro, che si giustifica solo con la preminente necessità di fare assistenza, in presenza di esigenze riconosciute dalla legge e dalla coscienza sociale come meritevoli di superiore tutela. Ma tutto ciò a condizione che l’assistenza sia effettiva e che l’assenza dal lavoro sia in relazione diretta con il soddisfacimento delle esigenze del disabile. Se manca questo nesso, tra assenza e assistenza, l’allontanarsi dal posto di lavoro si sostanzia in abuso del diritto.
 
La Corte di cassazione
 
La sentenza 17968/2016, sezione lavoro (presidente Macioce, relatrice Blasutta), colpisce ancora gli impiegati “infedeli” con decisioni e argomentazioni che ormai sono consolidate. Una dipendente comunale in un trimestre ha utilizzato nel complesso 38 ore e mezza di permesso per assistere la madre disabile, in realtà per recarsi a Milano per seguire lezioni di un corso universitario. Il corso era articolato su tre giorni: l’interessata in modo scientifico prendeva di ogni settimana il martedì come permesso di studio e lunedì e mercoledì come legge 104.
 
Licenziamento in tronco
 
Con un apposito pedinamento i fatti reali sono emersi e da essi è scattato il licenziamento in tronco. Contro di esso ricorsi alla magistratura di merito e poi alla suprema Corte, la quale ha sottolineato come il beneficio accordato dalla norma non ha una natura compensativa o di ristoro delle energie impiegate per l’assistenza al disabile (la donna ha spiegato che l’assistenza veniva svolta di sera dopo il rientro dall’Università), e che l’assistenza va fornita proprio durante le ore di permesso.
Niente da fare. La condotta dell’interessata è stata giudicata abuso di diritto, una condotta: a) lesiva delle buona fede, privando il datore di lavoro della prestazione lavorativa; b) indebita nei confronti dell’Inps che paga l’indennità (pari alla retribuzione) per le ore di assenza.
 
Decadenza del diritto
 
Sul tema non c’è sola la legge 104/1992; c’è anche la legge 183/2010 che aggiunge: ferma la eventuale responsabilità disciplinare, il lavoratore decade dai diritti qualora il datore di lavoro o l’Inps accerti l’insussistenza o il venir meno delle condizioni richieste per la legittima fruizione dei permessi.
E se l’accaduto rientra nelle tipologie delle “gravi violazioni intenzionali” degli obblighi che sono indicati dal contratto collettivo comparto Regioni-Autonomie locali che portano al licenziamento
per giusta causa, è legittima l’espulsione dalla organizzazione del datore di lavoro, una sorta di allontanamento del campo per via del “cartellino rosso”.
 
Gli indennizzi
 
I permessi  fruiti a giorni o a ore sono indennizzati sulla base della retribuzione effettivamente corrisposta, mentre  quelli concessi a titolo di prolungamento del congedo parentale fino all’ottavo anno di vita del bambino sono indennizzati al 30% della retribuzione effettivamente corrisposta. Durante la fruizione dei permessi retribuiti si ha diritto anche all'assegno per il nucleo familiare. Per i lavoratori l’indennità viene anticipata dal datore di lavoro in busta paga e poi verrà richiesta a rimborso conguagliandola con i contributi dovuti all’Inps. Invece per gli operai agricoli a tempo determinato e indeterminato e  per i lavoratori dello spettacolo saltuari o con contratto a termine, l’indennità viene pagata direttamente dall’Inps dietro domanda dell'interessato.
 
 

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