- lunedì 28 settembre 2015, 11:36
La mamma-colf con un figlio lattante
Non sono previsti i permessi orari per allattare il bebè
Fino al primo anno di vita del bambino la donna lavoratrice dipendente ha diritto a due ore di permesso al giorno per allattare il piccolino. E ha diritto anche alla indennità Inps e ai contributi figurativi per la pensione, prestazioni però che non sono previste per le lavoratrici agricole, colf e badanti, e per le lavoratrici autonome. Ha diritto a questi permessi ovviamente la mamma, una volta rientrata al lavoro dopo il termine del periodo di assenza obbligatoria. In pratica si tratta di un periodo complessivo di nove mesi, dal quarto al dodicesimo mese di vita del bambino. Il permesso spetta anche se la persona lavora a part-time.
Due mezze ore
Le due ore di permesso sono riconosciute a condizione che l’orario giornaliero di lavoro sia di almeno sei ore. Il permesso scende a un’ora quando: 1) l’orario è inferiore a sei ore; 2) l’interessata può avvalersi dell’asilo nido o di altri servizi per l’infanzia istituiti dall’azienda sul posto di lavoro o nelle immediate vicinanze; in questa ipotesi la donna ha diritto a due mezze ore.
Come si “sfruttano” i permessi di una o due ore? Le combinazioni possono essere parecchie: a) si inizia il lavoro con una/due ore di ritardo; b) si termina il lavoro con una/due ore di anticipo; c) si utilizza un’ora all’inizio e un’ora alla fine della giornata; d) si utilizzano nel mezzo della giornata, uscendo e rientrando al lavoro.
Quando i figli sono due
Attenzione però: la scelta della lavoratrice deve essere programmata in accordo con il datore di lavoro. Se le parti non riescono a trovare un punto di intesa, la distribuzione dei riposi verrà decisa dalla Direzione territoriale del lavoro. Se il parto è gemellare le ore raddoppiano e diventano, a seconda dei casi, due o quattro. In questo caso il padre lavoratore può spartire con la moglie i permessi e prendere per sé le due ore aggiuntive. Se i gemelli sono più di due non c’è più alcun aumento di ore.
Indennità Inps
Parliamo ora dell’indennità Inps che viene anticipata dall’azienda con la busta paga e che poi verrà rimborsata dall’Inps al datore di lavoro con il sistema del conguaglio con i contributi dovuti. Per stabilire la misura dell’indennità si prende la retribuzione di fatto pagata alla lavoratrice in via continuativa. E si determina la paga oraria sulla base dei “divisori orari” previsti dal contratto collettivo. Ma ad essa va aggiunta la quota oraria della tredicesima mensilità. Ovviamente a fine anno sulla tredicesima l’azienda toglierà la parte già pagata dall’Inps. Tutti i permessi inoltre sono considerati utili ai fini dell’anzianità di servizio.
Contributi figurativi
Spetta anche la contribuzione figurativa ridotta che è mirata a coprire il vuoto delle ore di assenza e che nell’arco di un mese diventano come minimo 48-50. Esse infatti, se pure apparentemente sono pagate dal datore di lavoro, in realtà sono indennizzate dall’Inps e in tale veste non possono essere assoggettate alla contribuzione obbligatoria. A ciò supplisce appunto quella figurativa.
I diritti del papà
Ci sono casi in cui il diritto ai permessi viene trasferito al padre. I casi sono circoscritti e sono i seguenti: 1) morte o grave infermità della madre; 2) figli affidati solo al padre; 3) madre lavoratrice dipendente che non può avvalersi dei permessi (esempio: colf e badante, lavorante a domicilio); 3) madre lavoratrice autonoma o libero professionista; 4) madre casalinga che non può assistere il piccolino perché impegnata in altre attività documentate, quali accertamenti sanitari o diagnostici, partecipazione a concorsi pubblici, ecc.
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