- lunedì 29 febbraio 2016, 09:56
Chi prende in affitto un appartamento ha diritto a trasferirvi la residenza
Il locatore non può impedire all'inquilino di registrarsi anagraficamente al nuovo indirizzo anche se il contratto è di breve durata
Come ci si deve comportare se per esempio si stipula un contratto di affitto della durata di un anno e il locatore si rifiuta di togliere la residenza dalla casa data in locazione e, di conseguenza, impedisce che i suoi nuovi inquilini la trasferiscano (pur non essendoci alcuna menzione di divieto in tal senso nel contratto firmato)?
“Il locatore – spiegano gli esperti - anche qualora abbia mantenuto la residenza all’interno dei locali affittati non può impedire all’inquilino (e alla sua famiglia) il trasferimento della residenza. Tanto più che l’articolo 46 del Dpr 28 dicembre 2000, n.445, testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, trattando di "dichiarazioni sostitutive" afferma che la residenza è comprovata, nei confronti della pubblica amministrazione, “...con dichiarazioni, anche contestuali all'istanza, sottoscritte dall'interessato e prodotte in sostituzione...”. E tanto più che un eventuale controllo da parte del Comune sarebbe favorevole all’inquilino che detiene i locali. Si tenga anche presente, senza scomodare l’articolo 16 della Costituzione secondo cui ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, che per l’articolo 43, secondo comma, del Codice civile “la residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale”.
La giurisprudenza
In tema, la giurisprudenza ha puntualizzato che “la residenza di una persona, secondo la previsione dell’articolo 43 del Codice civile, è determinata dall’abituale e volontaria dimora in un determinato luogo che si caratterizza per l’elemento oggettivo della permanenza e per l’elemento soggettivo dell’intenzione di abitarvi stabilmente” (Cassazione, 1° dicembre 2011, n. 25726). In ogni caso, visto che il caso in esame parla di un anno di locazione, gli esperti sottolineano che la sottoscrizione di una durata del contratto inferiore a quella prevista dall’articolo 2, comma 1, della legge 431/1998, cioè di quattro anni più quattro, è illegittima in base all’articolo 13, comma 3, della legge stessa, per il quale “è nullo ogni accordo che deroga dai limiti di durata del contratto stabiliti dalla presente legge”. L’articolo 2, comma 1, della legge 431/1998 dispone infatti che “le parti possono stipulare contratti di locazione di durata non inferiore a quattro anni, decorsi i quali i contratti sono rinnovati per un periodo di quattro anni...”
Contratto transitorio
Nel caso in cui le parti avessero inteso stipulare un contratto "transitorio" – sempreché ne sussistano i presupposti – avrebbero dovuto fare riferimento all’articolo 5, comma 1, della legge 431/1998, all’articolo 2 del decreto del ministero delle Infrastrutture e dei trasporti 30 dicembre 2002, e agli accordi locali tra le associazioni di categoria maggiormente rappresentative dei proprietari e degli inquilini.
Controllo della certificazione
Se si intende affittare, poi, è bene controllare la certificazione dell’immobile. L’immobile privo di licenza di abitabilità, per esempio, può essere oggetto di valida costituzione di rapporti locatizi, ossia può essere affittato. Il principio sopra enunciato va però correttamente interpretato anche alla luce di quanto stabilito dalla Suprema Corte con la sentenza n. 8409/06. Tale sentenza afferma il principio, ormai consolidato, in base al quale fra le obbligazioni del locatore va inclusa anche quella di procurare il certificato di abitabilità dell’immobile sia quando esso è destinato ad uso di abitazione che quando ha un utilizzo commerciale o di deposito. Quindi quando il documento manca si viene a configurare una situazione di grave inadempimento in conseguenza del quale il conduttore può chiedere la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno.
Il parere della Cassazione
Va sottolineato però, affermano gli esperti, che se in linea di principio la mancanza del certificato di abitabilità (sia perché non sia stato ancora richiesto o perché non è stato rilasciato) viene a configurare una situazione di inadempimento, d’altra parte non può precludere la negoziazione dell’immobile. La Cassazione nel suo ragionamento afferma che in via preliminare la trattativa su un immobile privo di abitabilità è diversa dal suo utilizzo e dunque di per sé stessa non può essere vietata.
Altre pronunce della Suprema Corte
Anche in altre pronunce la Suprema Corte ricorda che “se non può escludersi che l’immobile privo di licenza di abitabilità possa essere oggetto di una valida costituzione di rapporti locatizi, il definitivo diniego del rilascio del certificato di abitabilità legittima il ricorso ai rimedi della risoluzione del contratto e del risarcimento del danno”.
Che cos’è l’agibilità?
Il documento di agibilità rappresenta l’idoneità dell’immobile ad essere abitato in quanto rispondente a determinati parametri stabiliti dalla normativa edilizia. Vengono perciò presi in considerazione ad esempio alcuni dati come la luminosità, l’altezza dei locali, la conformità degli impianti ecc. Il certificato di abitabilità viene quindi rilasciato dal Comune di riferimento in base a vari controlli che dovranno attestare la corrispondenza dell’immobile agli scrupolosi parametri stabiliti dalla legge.
- Annunci correlati
IlMessaggeroCasa.it
Scegli su quale social condividere questo contenuto con tutti i tuoi amici.