- venerdì 13 settembre 2019, 00:08
La bussola degli Usa/ Il nuovo volto di Trump “colomba” suo malgrado
Trump stupisce tutti e licenzia John Bolton, un “falco” della sicurezza nazionale. La campagna elettorale di Trump e i primi giorni della sua presidenza avevano lasciato presagire quattro anni di guerre. Quasi tre anni dopo il suo insediamento alla Casa Bianca, Trump sembra più un pompiere che un incendiario. Avendo inaugurato la sua politica estera con il bombardamento di Damasco – un bombardamento volutamente senza vittime – si temeva un’operazione analoga contro l’Iran. Almeno finora, i timori sono stati fugati.
Trump ha sempre cercato di evitare uno scontro militare. Anche quando i falchi da cui è circondato, tra cui sauditi e israeliani, lo spingevano verso un tragico declivio, ha chiarito di non avere alcuna intenzione di abbattersi in picchiata su Teheran. Tutti ricordano le parole di fuoco che Trump rivolgeva alla Corea del Nord.
Gli sviluppi sono noti: Trump ha voluto incontrare Kim Jong-un a Singapore, il 12 giugno 2018, con cui continua a sognare un trattato di pace. Nonostante gli affronti e le umiliazioni che Kim gli infligge quasi quotidianamente, Trump continua a tendergli la mano. La situazione si è addirittura capovolta: Kim minaccia e Trump lo blandisce.
Quanto alla Russia, Trump ha speso ogni energia per una pacificazione con Putin, che ha voluto incontrare a Helsinki, a porte chiuse, il 16 luglio 2018. In Ucraina e Siria, i fronti caldi dove, durante la presidenza Obama, si temeva un’escalation tra il blocco occidentale e la Russia, Trump ha sacrificato gli interessi americani per coltivare la speranza, finora vana ma non abbandonata, di normalizzare le relazioni con Putin. Rientrava certamente negli interessi strategici degli Stati Uniti rovesciare il dittatore della Siria, Bassar al Assad, per sostituirlo con un presidente filo-americano. Questo era il progetto di Obama, premio Nobel per la pace, che armava i ribelli siriani per sottrarre la Siria al controllo della Russia.
Anche in questo caso, ha sopportato molti affronti. I talebani scappavano e lui li rincorreva, rischiando persino di deteriorare i rapporti con il governo democratico di Kabul, che ha scavalcato nella foga di stabilire un dialogo diretto con i talebani. Non è più possibile seguire, causa esondazione, il torrente di critiche che si è abbattuto su Trump per il suo tentativo di fare la pace con coloro che davano ospitalità a Bin Laden mentre pianificava l’attentato contro le Torri Gemelle. Senza considerare che i talebani continuano a giurare fedeltà al capo di al Qaeda, al Zawahiri, e che il portavoce dei talebani, Suhail Shaheen, in un’intervista rilasciata in Qatar il 22 agosto 2019, ha ribadito che al Qaeda non è mai stata coinvolta nell’attentato dell’11 settembre 2001.
Trump ha avuto mille occasioni per fare la guerra e ha scelto mille volte di fare la pace. Quanto alla Cina, la guerra dei dazi è stata ideata proprio per scongiurare il pericolo di uno scontro militare nel Mar Cinese Meridionale. La strategia di Trump è di provocare un rallentamento della crescita economica della Cina affinché Xi Jinping abbia meno soldi da investire nell’esercito. È noto che i governi revisionisti, con eserciti potenti, prendono in considerazione la possibilità di ricorrere all’uso della forza per appagare le loro aspirazioni che crescono in proporzione alla potenza dello Stato. Sotto il profilo delle relazioni internazionali, non è importante stabilire se Trump sia un uomo di pace. È importante sapere che non vuole la guerra. Non è una cattiva notizia per il governo di Conte e il neo ministro Luigi Di Maio, visto che l’Italia, con i nemici degli Stati Uniti, Russia e Iran in testa, ha ottimi rapporti politici e commerciali.
aorsini@luiss.it
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