• di Bruno Benelli
  • Domenica 13 Settembre 2015, 18:06

Colf convivente, ma lavora solo 25 ore a settimana

Il problema del lavoro sommerso. Che cosa prevede il nuovo contratto


Colf e badanti conviventi devono lavorare, in base all’art.15 dell’attuale contratto collettivo nazionale di lavoro domestico, fino a un massimo di 54 ore a settimana, con un massimo di 10 ore al giorno non consecutive. La durata “normale” dell’orario è concordata fra le parti. E qui da noi sembra che questa durata – così almeno risulta dai versamenti fatti all’Inps – sia prevalentemente fissata su 25 ore settimanali.
Lavoro sommerso
Viene ovviamente il sospetto che in linea di massima una convivente non lavori solo 25 ore a settimana, pari a poco più di 4 ore al giorno per sei giorni a settimana. In pratica si tratta di un “mezzo servizio con convivenza”, una contraddizione in termini. Se una persona lavora in modo così modesto non si vede perché la famiglia se la tenga a casa giorno e notte. E le dia, oltre alla stanza personale, anche colazione, pranzo e cena. Tant’è: così è. L’Inps accetta i versamenti, chiudendo un occhio o forse tutti e due.
Il peso dei contributi
Ma nasce un problema a prima vista non rilevato. Versando i contributi su 25 ore settimanali, invece che su, ad esempio, 40 ore resta conclamato il fatto che le lavoratrici avranno una perdita pensionistica, specie ora che il calcolo delle rendite è esclusivamente fatto con il sistema contributivo. Se gli attuari hanno improntato un sistema secondo cui la pensione è strettamente correlata al “peso” dei contributi pagati, è facile comprendere che meno contributi danno per aritmetico risultato meno pensione. La parametrazione è sempre la medesima: in positivo o in negativo.
Da 25 a 54 ore
Proviamo a buttare giù qualche cifra per verificare come stanno esattamente le cose. Partiamo da una colf che lavora 54 ore a settimana e viene assicurata all’Inps per 25 ore. Quest’anno il contributo orario per i rapporti superiori a 24 ore settimanali è di 1,01 euro. Se il rapporto di lavoro è a tempo determinato il contributo sale di sette centesimi (1,08). Questa maggiorazione però non si paga se il lavoro a termine è richiesto per sostituire una dipendente assente per qualche motivo (malattia, maternità, ferie, ecc.). L’assicurazione Inps per 54 ore a settimana costa 54,54 euro, pari a 236 euro al mese e a 2.835 euro nell’ intero anno. Se scendiamo a 25 ore il costo Inps si riduce a 25,25 euro, pari a circa 108 euro al mese e a 1.310 euro nell’intero anno.
La perdita in pensione
Proviamo ora a proiettare questa situazione per 30 anni. Ovviamente è un esempio che non può verificarsi in pratica perché il contributo cambia ogni anno, e certamente nel periodo trentennale matureranno nuove aliquote contributive e forse altre normative. Ciò doverosamente premesso, l’esempio resta comunque un punto di riferimento, che ci restituisce l’idea del danno causato ai prestatori di lavoro. Con 25 ore la pensione sarà di 185 euro al mese (calcoliamo solo i contributi versati senza tenere conto delle rivalutazioni annuali che hanno il loro peso nell’aumentare la misura della rendita), con 54 ore sarà di 400 euro. Sembra poco, ma mancano 2.580 euro annui. Se fossimo rimasti con il calcolo retributivo la scarsa pensione ottenuta avrebbe potuto essere adeguata al minimo di oltre 500 euro al mese, sempreché la lavoratrice avesse pochi o nulli redditi e nella stessa situazione fosse il coniuge. Ma ora il metodo è stato sostituito dal contributivo, che non prevede integrazioni. La pensione è “nuda”: non è coperta da mantelli che le consentano di avvicinarsi al cosiddetto minimo vitale. Conclusione? Ogni attuale risparmio sui contributi inciderà sulla pensione.

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