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al ribasso, così la pensione cala
  • di Bruno Benelli
  • Lunedì 17 Aprile 2017, 05:15

Coefficienti di trasformazione al ribasso, così la pensione cala

Cresce l'aspettativa di vita, ma un meccanismo riduce l'importo dell'assegno


Un meccanismo a orologeria riduce l’importo della pensione contributiva (compresa la parte delle pensione calcolata con il sistema misto) con il crescere dell’aspettativa media della vita. Ulteriore riduzione dei coefficienti di trasformazione dal 2016  con riflessi anche sull’anno in corso..  Un ulteriore colpo al sistema di calcolo della pensione concertato e introdotto da un decreto del Ministero del lavoro. Per rispetto di verità è corretto ricordare che la revisione al ribasso di tali coefficienti è prevista dalla stessa legge Dini (legge 335/95) che li ha istituiti e perciò il decreto non fa che applicare principi già consolidati. E nello stesso tempo segue la linea dell’invecchiamento della popolazione. Tuttavia anch’esso – pur con tutte le giustificazioni del caso, che quindi escludono un intento specificamente punitivo -  entra in quel “trita-pensioni” che perseguita soprattutto la classe medio-alta degli italiani.
 
La pensione contributiva
 
Dal punto di vista tecnico la pensione contributiva poggia su quattro colonne: 1) la  misura della retribuzione (il reddito per i lavoratori autonomi e per i professionisti); 2) il montante contributivo (cioè quanto uno ha versato all’Inps nel corso della vita e che è più o meno alto proprio in relazione alla misura della retribuzione); 3)  la rivalutazione annua dei contributi versati per mitigare i contraccolpi negativi del costo della vita; 4) i coefficienti di trasformazione, cioè le aliquote percentuali che  - lo dice la parola stessa – trasformano un “mucchietto” di soldi versati come contributi in un “gruzzoletto” di euro chiamato pensione.
 
I coefficienti sono una specie di interesse
 
In senso ampio potremmo ricorrere al paragone di una banca che paga gli interessi al cliente sul capitale versato. Ebbene, i coefficienti sono una specie di interesse riconosciuto dall’Inps che però non soggiace alle variazioni del mercato ma è legato esclusivamente a due fattori esogeni: a) l’età dell’interessato; b) l’andamento della speranza di vita. Il legame che hanno  con questo secondo fattore  li rende in un certo senso “indifferenti”, nel senso che la riduzione della pensione viene pareggiata da un maggior periodo. Ma se la pensione non viene rivalutata negli anni – e ormai questo odioso provvedimento (bollato anche dalla Corte costituzionale) è diventato uno strumento di politica previdenziale – anche la riduzione dei coefficienti diventa un altro colpo alle pensioni di tutti. Entriamo nel mondo dei numeri.
 
Risalgono alla legge Dini
 
I coefficienti ideati da Dini sono stati applicati su una fascia di età che va dai 57 ai 65 anni con otto classi di età.  Con i 57 anni (questo principio vale ancora oggi) sono coperti tutti gli anni anteriori, sicché chi va in pensione di invalidità a 40 anni o la pensione di riversibilità della vedova di lavoratore morto a 45 anni, liquidano una pensione come se avessero 57 anni d’età. Con la riforma Fornero le classi di età diventano cinque in più: da 57 a 70 anni, ampliamento dovuto al fatto che l’intendimento neanche nascosto della legge è quello di mandare in pensione a 70 anni, o quanto meno di predisporre gli strumenti per facilitare la possibilità di giungere a ciò.
 
 Ritocchi triennali
 
I coefficienti iniziali sono durati dal 1996 al 2012. Sono stati ridotti per il triennio 2013-2015. E sono stati ulteriormente ritoccati per il triennio 2016-2018. Dal 2019 è già stabilito che le modifiche avranno vita biennale. Si è in pratica instaurato un circuito chiuso. L’aspettativa di vita aumenta di quattro mesi? Bene, ti mando in pensione quattro mesi dopo, e ti riduco i coefficienti di trasformazione di quattro mesi.  
 

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